Espressioni della tradizione
Forte e gentile, fiero e generoso. E’ stretto il legame tra il nostro Abruzzo e Sant’Antonio Abate, protettore di tutti gli animali domestici, del bestiame, del lavoro dei contadini, del fuoco e delle malattie della pelle. Sant’Andonie de lu porche nel nostro dialetto, dalla sua effige che lo vede rappresentato con un maiale, è celebrato il 17 gennaio.
Famoso in tutta Italia, il suo cerimoniale si ricollega ad uno dei riti antoniani più antichi d’Abruzzo e trova collazione con manifestazioni differenti in tutte le province della regione. Nell’aquilano il giorno di Sant’Antonio viene acquistato un piccolo maialino adottato e prestato alle cure di tutta la comunità. L’animale prescelto è facilmente riconoscibile da un nastrino rosso annodato al collo con un allegro e chiassoso campanellino in segno di distinzione. Trascorso esattamente un anno, il maialino, oramai cresciuto, viene sacrificato e le sue carni divise fra tutti i paesani in un giorno di festa, danze e condivisione.
Oltre agli animali e al bestiame, la figura di Sant’Antonio è collegata anche a quella del fuoco. Questo legame è dato dal significato del fuoco come purificazione ma anche come simbolo della vittoria del Santo contro il diavolo, le tentazioni e l’inferno. In provincia di Chieti, a Fara Filiorum Petri, tutto ciò si traduce in un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati e curiosi della zona e non solo. Tradizione Abruzzese infatti è quella dell’accensione delle farchie, enormi torce di canne secche, possenti e maestose come torri, che possono arrivare fino a 10 metri d’altezza. La storia narra che nella notte tra il 16 e il 17 gennaio del 1799 Sant’Antonio Abate apparve nelle vesti di un generale durante l’assedio francese che intimava le truppe straniere di non oltrepassare il querceto circostante. Per evitare che gli invasori entrassero in città, il santo trasformò gli alberi in torce infuocate che fecero scappare i soldati.
Ancora, la protezione di Sant’Antonio è legata anche alla cura delle malattie della pelle. Alla fine dei fuochi e dopo l’accensione delle farchie, gli anziani erano soliti riportare a casa della brace come buon augurio per combattere l’herpes zoster, conosciuta anche come fuoco di Sant’Antonio.
Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato, Sant’Antonio Abate è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri ad esempio, perché guariva da quel fuoco metaforico che era appunto l’herpes zoster. “Da pericule, male e lambe, Sant’Antonie ce ne scampe!”. E’ così che il nostro dialetto ci racconta questo legame.
Ma questa festa di gennaio non è solo rurale. Canti, suoni e rappresentazioni sacre colorano da secoli la notte del 17 gennaio in decine di manifestazioni storiche molto sentite sopratutto dai giovani. Ogni paese abruzzese la vive a modo suo e viene travolto da musiche e celebrazioni che raccontano le vicende di Sant’Antonio e delle sue tentazioni, la lotta tra il santo e il demonio, tra il bene e il male e la sua vittoria sul maligno.
E sono gli uccelletti di Sant’Antonio (li cillitte di Sant’Andonie) a celebrare il rito, a livello culinario, di Sant’Antonio Abate. La cucina non poteva certamente esimersi dal rendere omaggio al suo santo più affezionato! Questi uccelletti stanno a rappresentare l’amore e la venerazione che il popolo nutre nei suoi confronti, attraverso riti propiziatori che si mescolano, come abbiamo visto, tra sacro e profano.
Questi dolcetti la tradizione vuole venissero offerti ai cantori (“li Sandandonijre”) che giravano di casa in casa intonando melodie che rievocavano gli episodi della vita del santo con il “ddu botte” e il “lu vurr vurr” e altri arnesi da cucina, facendo un gran baccano! Sono originari del teramano, anche se attualmente sono prodotti in tutto il territorio regionale e il loro nome deriva dalla loro forma, che riproduce appunto il profilo di un uccellino.
Come tutte le ricette tipiche ognuno ha la sua personale. Ricettari di nonne e mamme spolverati per l’occasione a incorniciare un giorno di festa nel miglior modo che noi abruzzesi conosciamo. Ciò che non cambia però è il ripieno, simile a quello delle sfogliatelle abruzzesi, confettura di uva, cacao e mandorle tritate. E poi la forma, come dei piccoli uccellini.
Sant’Antonio è il santo che per la tradizione agricola apre il periodo della prosperità della terra, dei raccolti, della tavola. La festa che lo celebra in questo periodo di gennaio diventa un momento unico e speciale per riscaldare il mese più freddo dell’anno e propiziare così il veloce ritorno della bella e calda stagione.
E così anche noi ci siamo dilettate, per la prima volta, in questa preparazione. Uccelletti paffuti e ricchi di un gusto speciale, quello dell’amore per la nostra terra e le sue fantastiche e affascinanti tradizioni.
Per la pasta:
350 gr di farina 00
50 gr di vino bianco
35 gr di latte
20 gr di olio evo
100 gr di zucchero
1 cucchiaino di lievito per dolci
1 uovo
la buccia grattugiata di mezzi limone
Per la farcia:
250 gr di scrucchiata (potete sostituirla in caso con una marmellata ai frutti di bosco o alle ciliegie)
30 gr di cioccolato fondente a scaglie
30 gr di mandorle tostate e tritate
1/2 cucchiaio di cacao amaro in polvere
1 cucchiaio di liquore a scelta
un pizzico di cannella
la restante scorza di limone
Per gli uccelletti di Sant’Antonio preparate come prima cosa la sfoglia, amalgamando tutti gli ingredienti e formando un panetto che andrete ben a lavorare e a far riposare per una mezza oretta.
Nel frattempo dedicatevi al ripieno degli uccelletti, mescolando la scrucchiata (è così chiamata la marmellata d’uva in Abruzzo) con gli altri componenti della farcia.
Tirate la sfoglia con altezza 3 mm all’incirca e con un coppa-pasta del diametro di 8 cm ritagliate tanti cerchi di pasta.
Posizionate su di ognuno una piccola dose di farcia, richiudete a mo’ di raviolo, sigillando per bene i bordi e poi date una forma ad uccelletto, giocando con le estremità del raviolo.
Posizionate gli uccelletti su di una placca da forno coperta con carta forno e infornate a 170 gradi per 25 minuti all’incirca, fino a quando gli uccelletti non saranno dorati.
Servite tiepidi o freddi, spolverizzate da zucchero a velo!
Dose per 25 uccelletti.
Ilaria & Serena